IERI MATTINA LA «CONFERENCE CALL» TRA FIGC E SOCIETÀ: PENSIERI E RIFLESSIONI DEL VICEPRESIDENTE RENATO COMPARINI

Si è tenuta ieri mattina l’attesa «Conference Call» indetta dalla Federcalcio regionale per le società di Promozione e Prima Categoria: vi proponiamo, a riguardo, un’ampia e interessante intervista al nostro vicepresidente Renato Comparini, che abbiamo coinvolto in un tambureggiante botta e risposta sui temi di maggiore attualità.

Qual è il tuo pensiero su come andrà a finire questa stagione sportiva?
«Purtroppo credo verrà buttata nel cestino. Stiamo facendo di tutto per complicarci la vita e, indipendentemente dalle decisioni che saranno prese, non avrà in alcun modo uno svolgimento regolare. Qualsiasi esito ne uscirà, non sarà espressione degli effettivi meriti sportivi».
La Federazione aveva avanzato l’ipotesi di concludere il solo girone di andata: al netto del Covid, quale sarebbe il format più opportuno per stabilire promozioni, retrocessioni, playoff o playout?
«Dopo la Conference Call di ieri con il presidente Ruzza, non ho più alcuna speranza che si riesca a concludere la stagione in maniera sensata. Personalmente sono sempre dell’idea di completare il campionato nelle sue 34 partite: qui, invece, si paventa addirittura l’ipotesi di dare la possibilità di ripartire a chi vuole e di concedere ai contrari l’opportunità di non partecipare, salvando tutti “d’ufficio” e annullando le retrocessioni. Per dirla senza mezzi termini, credo sarebbe il modo migliore per mandare tutto a… La sensazione, purtroppo, è che questa “non decisione” sia figlia di quanto non è stato fatto ad inizio stagione, quando si poteva benissimo pensare che si sarebbe andati incontro ad una situazione del genere e magari proporre un format alternativo. Una “non decisione” dovuta ad un’incompetenza mostruosa degli addetti ai lavori, e mi assumo ogni responsabilità di ciò che dico. Allo stato attuale, sono convinto che la nostra delegazione regionale andrà a Roma dal presidente della Lega Nazionale Dilettanti con lo stesso “potere” che avrebbe il Liechtenstein se fosse invitato ad una riunione del G8».
Se nella peggiore delle ipotesi non si dovesse proprio ripartire, come ne uscirà il calcio dilettantistico?
«Di sicuro ne uscirà peggio di come sta navigando adesso, e stiamo già navigando molto male. Le mie previsioni sono negative e pessimistiche, anche se la speranza è comunque l’ultima a morire. A chi ha la passione nel sangue, basta un “do” o un “la” per ripartire con un concerto: appena ce ne verrà data l’opportunità, sono certo che chi ha il calcio nel cuore abbandonerà tutte le delusioni e rimetterà mano alla passione e al portafoglio come ha fatto in occasione della ripresa dopo il primo lockdown».
Come si può rilanciare il calcio dilettantistico?
«Agevolando le società. Le decisioni degli organi competenti ci sono state addirittura girate verbalmente, facendo passare per contributo della Figc un “contributo Covid” che in realtà era statale. Nel nostro estratto conto, giusto per fare un esempio, ci ritroviamo ancora ad aver pagato una Coppa Veneto che non è mai iniziata: ed è tutto assolutamente documentabile. Come ha detto in televisione l’amico Salvatore Binatti, credo che la strada migliore sia una riforma completa: una riforma che crei campionati “alla scandinava”, con le partite da aprile a settembre. Si riempirebbero sempre gli stadi, visto che nella stagione estiva la gente ha più voglia di uscire al fresco e di andare a bere una birra o a cenare nelle tavole calde che potrebbero essere allestite accanto ai campi. Si potrebbe giocare nel tardo pomeriggio o di sera, per chi ha gli impianti di illuminazione omologati, e non sarebbe un intralcio per i tornei giovanili, che non si svolgono quasi mai di domenica. Ad agosto si lasciano venti giorni di stop per consentire ai giocatori di andare in vacanza e poi si riparte. È questa l’unica via, altrimenti pandemie e virus saranno sempre dietro l’angolo. Sarebbe una soluzione preziosa anche per preservare i terreni di gioco durante l’inverno, evitando i soliti disastri, e per prevenire i tantissimi infortuni dovuti al freddo».
Il calcio dilettantistico veneto è fresco di elezioni federali, che hanno confermato Giuseppe Ruzza al timone della nave per il terzo mandato consecutivo.
«Mi congratulo con il presidente e il suo staff per il risultato raggiunto e auguro a tutti loro un buon lavoro. Personalmente, però, sono contrario a tre mandati di fila: e lo sono per gli stessi motivi che non lo consentono in qualsiasi altro settore, a partire dalla politica. Il calcio ha bisogno di un rinnovamento anche sul piano delle istituzioni e delle persone. Vedrei bene un ragazzo giovane, che magari sta chiudendo la carriera e proviene dal semi-professionismo: un giovane che conosce il calcio del 2020 e tutte le problematiche annesse e connesse, che sono molto diverse rispetto al passato. Giusto per fare un esempio, citerei il nostro Matteo Deinite: non nel senso che dovrebbe essere lui, ma per tracciarne l’identikit in termini di capacità, modestia, obiettività, conoscenze, professionalità ed efficienza. Matteo ha iniziato nel Padova e nel Milan e sta finendo nel Monselice: ha sempre vissuto questo sport a 360 gradi e conosce bene tutte le sfaccettature del calcio moderno».
Che futuro vedi per il Monselice? Ambizioni, obiettivi, traguardi da raggiungere…
«Gli stessi di inizio stagione. Con un format serio e attendibile, si punta ad un campionato di Promozione da metà classifica in su, strizzando l’occhio ai playoff e alla possibilità di giocarsi la categoria superiore in maniera tranquilla ed economicamente sana. Se invece si ripartisse con la cervellotica idea di far tornare in campo solo chi se la sente, allora si andrebbe incontro a delle farse incredibili e a risultati improponibili. La promozione in Eccellenza sarebbe figlia di amicizie e di “accordi carbonari” legati all’impegno messo in campo dalle varie squadre quando incontrerebbero chi lotta per arrivare primo. È addirittura ipotizzabile la scelta di qualcuno di non presentarsi in campo per due domeniche consecutive senza incorrere nell’esclusione dal campionato: al massimo ci sarebbero la sconfitta a tavolino e qualche punto di penalizzazione, comunque ininfluente visto l’annullamento delle retrocessioni. In tal modo qualcuno potrebbe persino disertare le trasferte più lontane».
In che condizioni si ritrovano i settori giovanili?
«È senza dubbio il mondo più penalizzato. Per un adulto questa pausa forzata significa praticare altri hobby o trascorrere più tempo in famiglia: per i ragazzi, invece, è diventato un vero e proprio carcere. Fortunatamente il nostro settore giovanile va alla grande e riparte proprio martedì, al Comunale di Ponso e al Kennedy di Monselice : ad oggi le adesioni sono al 60% ma a marzo ci sarà il 100% dei bambini e stiamo pure ricevendo molte richieste da atleti di società limitrofe che avrebbero piacere di vestire i nostri colori».
Chiudiamo con un pensiero sulla prima squadra: che rapporto hai con mister Luca Simonato?
«Lo definirei “fraternamente amichevole”. Ci si consiglia, ci si confronta: a volte si hanno diversi punti di vista, ma si arriva sempre alla conclusione più logica per il bene del Monselice. Lo dico con il cuore in mano: se fossi dirigente di una squadra di serie D farei subito un pensiero su di lui, sia per le capacità tecniche che umane. Giusto per dare un’idea, Luca si è reso disponibile a darci una mano anche per il settore giovanile: lo farebbe gratuitamente e con qualsiasi squadra. Ovviamente non posso prevedere il futuro e non so per quanto tempo continueremo a lavorare insieme: dipenderà soprattutto dalla mia età e dalla sua voglia. Ma devo ammettere che sono curioso di vederlo quando si confronterà con categorie superiori, che merita e a cui deve assolutamente ambire. Per uno con le sue doti, l’approdo minimo è il semi-professionismo della serie D».