L’attesa è finalmente finita: tre mesi e mezzo dopo la vittoriosa finale-playoff di Villafranca Padovana, il Monselice torna a fare sul serio. E il debutto ufficiale regala subito uno scontro da brividi, che trasuda storia e fascino: il derby di Coppa Veneto con il Rovigo, che andrà in scena al Comunale nell’anticipo di sabato sera (calcio d’inizio alle 20.30).
A raccontare le sensazioni della vigilia è il direttore sportivo Stefano Loverro, icona biancorossa per eccellenza, che si appresta ad iniziare la diciassettesima stagione di prima squadra con i colori della sua città: è lui l’unico nella storia ad aver indossato la maglia del Monselice in tutti i campionati, dalla serie D alla Terza Categoria. Un primato vissuto quasi sempre con la fascia di capitano al braccio.
«Diciassette anni con la stessa maglia sono tanti, ma la passione e l’entusiasmo sono gli stessi del primo giorno – le sue parole – Gli ultimi tre li ho vissuti esclusivamente da dirigente, nei precedenti sei avevo il doppio ruolo perché ancora giocavo. L’avventura da direttore sportivo mi stimola tantissimo: sei in prima linea in fase di “costruzione”, perché vai a creare l’ossatura della squadra partendo dallo staff tecnico e arrivando ai giocatori, e poi ti occupi della “gestione” durante l’anno. Non tutti i ragazzi conoscono il mio passato, non tutti sanno i miei trascorsi calcistici con questi colori: ecco perché diventi più credibile quando instauri un rapporto schietto e sincero, raccontando loro esperienze di vita vissuta che hai provato direttamente sulla tua pelle».
Cosa significa, al giorno d’oggi, essere un giocatore del Monselice?
«Non è una cosa da tutti. Con il massimo rispetto per le altre squadre, qui c’è una piazza diversa. La frase “devi uscire dal campo con la maglia bagnata” sembra semplice e banale, ma incarna l’essenza del DNA biancorosso. Parliamo di mentalità, spirito di sacrificio, cultura del lavoro, personalità e attaccamento alla maglia. Se vuoi farti amare dalla gente, devi essere pronto a sputare sangue e a dare tutto anche durante la settimana: perché la prestazione della domenica è figlia di ciò che semini nei giorni precedenti. E non parlo solo sul piano tecnico. Qui ci sono dei valori che vengono prima di tutto, che poi sono gli stessi che ti insegnano sin da bambino: puntualità agli allenamenti, rispetto dei compagni e delle regole, fare squadra e fare gruppo. Dentro e fuori dal campo».
È stata un’estate di grandi cambiamenti: cosa ti aspetti dal nuovo Monselice?
«Sedici ragazzi su ventidue sono nuovi e ne siamo consapevoli. Cambiare tanto è spesso un rischio, ma siamo convinti di aver fatto le scelte azzeccate e di aver creato il giusto mix. Abbiamo preso i giocatori che in sede di colloquio ci hanno dato la sensazione di voler venire qui. Ora dovranno essere bravi a diventare “squadra” più velocemente possibile, consapevoli che il loro primo obiettivo dovrà sempre essere il bene del Monselice Calcio».
Come vivi il rapporto viscerale tra squadra e tifosi?
«La piazza è presente, attiva e ambiziosa come lo siamo noi. Se il tifoso vede dei giocatori che danno tutto, allora si appassiona e diventa partecipe e parte integrante: se invece percepisce passività o indolenza, difficilmente potrà innamorarsi e dare alla squadra un valore aggiunto. Monselice ha sempre risposto presente in termini di attaccamento e di vicinanza, soprattutto quando si è innamorata di chi indossa la maglia biancorossa. Da parte nostra, come società, ci stiamo mettendo anima e cuore per fare meglio possibile. Ci attende un campionato dal livello molto alto: è prematuro sbilanciarsi in pronostici o aspettative, ma sono fiducioso e convinto che ci faremo valere».