EDITORIALE: UN PASSATO E UN PRESENTE DA MIRACOLO SPORTIVO, UN FUTURO DA PROGRAMMARE CON INTELLIGENZA E LEGITTIMA AMBIZIONE

Quando di una squadra racconti tutto, nel mio caso scrivendo persino un libro sulla storia della società, diventa doveroso fermarsi un attimo e dedicare un editoriale ad un momento come questo.
Sì, perché è un momento storico e speciale: il Monselice è in Promozione. Lo è grazie ad una cavalcata straordinaria, iniziata ad agosto e proseguita a suon di vittorie sino alla sospensione imposta dal «Coronavirus» a metà febbraio.
Una marcia da rullo compressore, che ha travolto ogni ostacolo con la veemenza di un uragano, lanciando la squadra al comando della classifica e garantendole il raggiungimento di una storica semifinale del Trofeo Regione, a tre sole partite dalla conquista di una coppa che il Monselice, in 94 anni, non ha mai vinto.
I mesi di attesa trascorsi dalla sospensione del campionato alle sentenze della Figc sono stati vissuti nel segno della paura e dell’incertezza: non solo per le legittime preoccupazioni legate all’emergenza sanitaria, ma anche per il timore di rischiare la più crudele e ingiusta delle beffe. Quella di un eventuale azzeramento della stagione, che avrebbe spazzato via con un colpo di spugna un’irripetibile striscia di successi.
Chi ha vissuto lo sport in prima linea, e non solo da spettatore, conosce bene le dinamiche che si celano dietro ad ogni risultato: le fatiche degli allenamenti, i sacrifici delle gelide sere invernali, il tempo sottratto alla famiglia, la stretta allo stomaco prima di una partita fondamentale, la delusione dopo una sconfitta che rischia di compromettere tutto.
Il calcio non è solo un gioco: non è solo un business, un giro di soldi, una fonte di guadagno. È un’opportunità di riscatto, una valvola di sfogo che ogni domenica richiama allo stadio centinaia di persone bisognose di una ventata d’aria fresca: bisognose di andare al campo a rivendicare un diritto sacrosanto, quello di tifare e soffrire per la squadra del proprio cuore, per gli eroi che indossano la maglia della città in cui sei nato e cresciuto.
Questo Monselice ha compiuto un’impresa straordinaria: è rinato nel 2014 dopo due anni di silenzio e lo ha fatto dal gradino più basso, la Terza Categoria, una realtà agli antipodi rispetto al blasone di un club che nei primi anni Ottanta dava battaglia in tutta Italia in serie C.
Siamo ripartiti da zero e lo abbiamo fatto con un’umiltà incredibile. I tifosi sono tornati a gremire il Comunale, infischiandosene del nome degli avversari. Non c’erano più Modena, Pesaro o Ancona: e nemmeno, per passare a tempi più recenti, Legnago, Real Vicenza o Cerea. Si doveva ripartire da formazioni di quartiere, spesso addirittura di parrocchia, che aspettavano lo scontro diretto con il Monselice come un evento epocale.
I tifosi, come detto, non si sono mai tirati indietro: hanno fatto la loro parte fin dall’inizio, infuocando ogni stadio della regione con passione ed entusiasmo e trascinando la squadra come ai vecchi tempi.
Al resto ci ha pensato l’indomito «vecchio cuore biancorosso», che ha ripreso a battere più forte che mai grazie all’amore e all’ostinata determinazione di un team dirigenziale riuscito nell’impresa più difficile: quella di far rinascere una società completamente da zero, in una piazza ambiziosa ed esigente, e di veicolare un’immagine di trasparenza e organizzazione che probabilmente non c’era mai stata.
I risultati, in sei anni, sono sotto gli occhi di tutti: tre campionati vinti, due finali-playoff perse tra mille rimpianti e un settimo posto che grida ancora vendetta per l’incredibile ecatombe di infortuni che ha falcidiato la rosa per quasi tre mesi.
Quando il Monselice è scomparso, nell’estate del 2012, era in Eccellenza: sei anni dopo la rinascita è tornato in Promozione, ad un solo gradino da dov’era prima. E lo ha fatto in modo esemplare: mai il passo più lungo della gamba, una scalata iniziale a zero euro e solo per l’amore della maglia. Cuore, passione, entusiasmo e attaccamento.
Impossibile, in un momento come questo, non citare Stefano Loverro: capitano di mille battaglie, condottiero caparbio e carismatico, direttore generale acuto e con il senso dell’organizzazione nel sangue. Se siamo qui, in Promozione, è soprattutto merito suo.
Ricordo ancora l’incontro di sei anni fa, seduti al tavolino di un bar, quando mi illustrò il progetto svelandomi il suo sogno: «Prima di smettere, voglio riuscire a giocare una partita al Comunale con la terna arbitrale». Tradotto: voglio riportare il Monselice in Promozione. Detto, fatto. Missione compiuta, in soli sei anni. E tutti noi sappiamo che con un pizzico di fortuna (e di giustizia) in più, tra Solesinese 2017 e Chiampo 2018, il traguardo poteva essere tagliato persino prima.
Un doveroso grazie va ai nuovi soci, Renato Comparini e Mattia Mazzon, il cui arrivo ha rinnovato le ambizioni e l’entusiasmo della grande famiglia biancorossa. La loro passione e la loro professionalità hanno garantito ulteriore solidità alla società, gettando le basi di un mercato importante e restituendo al Monselice una risorsa irrinunciabile per la futuribilità del progetto: parlo del settore giovanile, ricostruito da zero e capace di raggiungere numeri importanti già al primo anno di attività.
Il ringraziamento naturalmente si estende a tutti gli altri dirigenti, a mister Luca Simonato (e, prima di lui, mister Gianni Cappellacci), al suo staff e a tutti i giocatori che dal 2014 hanno indossato la nostra maglia onorandola in ogni stadio, fino all’ultima goccia di sudore. Tutti loro, dal primo all’ultimo, hanno contribuito a scrivere pagine indelebili nella storia di questa gloriosa società.
Per chiudere, una riflessione: il Monselice torna in Promozione e si lancia in una nuova sfida, in un campionato difficile e reso ancora più impervio dal rigido regolamento sui giocatori «fuori quota».
Da squadra neopromossa, la priorità è giustamente mantenere la categoria: è altrettanto vero, però, che il DNA biancorosso non conosce la paura né il concetto di «partire con obiettivo salvezza». Il Monselice non avrà mai un ruolo da semplice comprimario, lo dice la storia: qui si osa, si sputa sangue, si lotta su ogni pallone per dare gioia ad una piazza e ad una tifoseria che vivono di calcio. E che lo fanno sette giorni su sette, non solo due ore la domenica pomeriggio.
In questi anni si è riusciti a creare attorno alla squadra un entusiasmo e un’elettricità che non vanno assolutamente dispersi: ed è da questa consapevolezza che bisogna ripartire, consapevoli di avere una dirigenza e uno staff pronti a tuffarsi anima e cuore in una nuova avventura tutta da vivere.
La crisi economica legata alla pandemia impone, com’è giusto che sia, scelte oculate e ben ponderate: ma cuore e attaccamento alla maglia possono andare al di là di ogni ostacolo. I giocatori sanno che Monselice è Monselice: e difendere questi colori anche in Promozione sarà bellissimo per tutti.
Forza vecchio cuore biancorosso!!!


MATTEO LUNARDI