L'ADDIO AI CAMPI DI UN GRANDE CAMPIONE: MATTEO DEINITE LASCIA IL CALCIO GIOCATO E RIVIVE IL FILM DELLA SUA CARRIERA

Il recente infortunio al ginocchio patito nel match casalingo con la Villafranchese ha chiuso in anticipo la carriera di Matteo Deinite, capitano e colonna del Monselice, che a 38 anni ha deciso di dire «basta» e voltare pagina.
Un’avventura calcistica straordinaria quella del nostro campione, iniziata con i primi calci al pallone nella Rocca e poi sbocciata nelle giovanili di Padova e Milan.
Tre le stagioni vissute in maglia rossonera, di cui una con gli Allievi Nazionali (con sconfitta in finale-scudetto) e due con la Primavera (con la ciliegina del trionfo al Torneo di Viareggio), agli ordini di allenatori incredibili come Davide Ballardini e Mauro Tassotti: in più l’indimenticabile esordio in prima squadra, in un’amichevole spagnola contro l’Alaves ai tempi di Fatih Terim.
«È stata un’esperienza meravigliosa, che porterò sempre nel cuore. Ho vissuto a Milanello per due anni, ammirando ogni giorno campioni eccezionali. Calcio vero e un’indiscussa palestra di vita. Poi è iniziato il viaggio in serie C, dove ho giocato per otto stagioni equamente divise tra C/2 e C/1: un anno al Trento, quattro al Pizzighettone e due al Portogruaro, con in mezzo la parentesi alla Sangiovannese. Mi sono tolto la soddisfazione di vincere tre campionati, a cui poi ne ho aggiunti due nei dilettanti. Il ricordo più bello è sicuramente la promozione in C/1 con il Pizzighettone: quel giorno allo stadio c’erano tutti gli amici di Monselice e un paesino di 6000 abitanti fece una festa incredibile, riversandosi quasi interamente in piazza».
Quali sono le differenze più nette tra professionisti e dilettanti?
«Direi soprattutto gli allenamenti. Nei professionisti l’intera giornata è dedicata a quello: ci si allena ogni giorno, con la doppia seduta al mercoledì e la rifinitura del sabato mattina. Sedute più brevi ma molto più intense, che ti permettono di curare al meglio ogni dettaglio. In più, non lavorando, hai molto più tempo da dedicare al recupero fisico. Nei dilettanti, invece, ci si allena di sera: logicamente c’è un abisso, tra temperature e campi ghiacciati».
Nei dilettanti hai fatto un anno in serie D a Legnago, sette campionati di Eccellenza alla Piovese, uno in Promozione al CastelbaldoMasi (con primo posto finale e titolo regionale di categoria, curiosamente battendo proprio il Portogruaro) e tre mezze stagioni a Monselice, tutte tribolate per via del Covid.
«Per me è stata una grande gioia chiudere la carriera con la squadra della mia città, accanto agli amici di sempre e in una società seria e sana. Un anno e mezzo fa mi ero sottoposto ad un intervento di artroscopia al ginocchio per una sutura meniscale: a febbraio ho replicato con un’osteotomia correttiva, perché avevo completamente finito la cartilagine del ginocchio. È un’operazione complessa, perché ti modificano il grado della rotula: di fatto, cambi radicalmente le posture e la corsa. Mi ha creato parecchi problemi e non mi sono mai sentito benissimo: il ginocchio era sempre affaticato e infiammato. Con la Villafranchese ho rotto di nuovo lo stesso menisco che avevo fatto suturare e lì ho capito che non posso chiedere altro al mio fisico. Non intendo continuare a rientrare senza sentirmi bene, né trascinarmi per il campo: voglio lasciare un bel ricordo, non quello di una persona che vuole giocare a tutti i costi anche quando non sta bene. Il Monselice non lo merita per tutto ciò che mi ha dato. È giusto che la società possa cercare un giocatore integro che aiuti la squadra in un campionato così difficile».
Con quale stato d’animo lasci il mondo del calcio?
«Ho ricevuto tantissimo e sono contento di com’è andato il mio lungo viaggio. Posso dire di non avere rimpianti, perché ho vissuto a pieno questa straordinaria esperienza. In tutte le squadre mi sono sempre sentito protagonista al 100% e ho conosciuto tantissime persone: con molte di queste sono tuttora in ottimi rapporti».
Che ricordi conservi degli anni del professionismo?
«In otto anni di serie C ho avuto l’onore di giocare insieme a Cordaz, Padelli, Astori, Porrini, Coralli, Ardemagni, Pascali, Scozzarella, Cuffa, Cunico, Altinier: tutta gente che si è affermata anche in serie A e B. Sono stato fortunato a condividere tanti spogliatoi con giocatori così importanti, che spesso ho visto crescere e approdare tra i grandi».
Vedi, nell’attuale Monselice, un ragazzo che potrebbe ripercorrere le tue orme?
«Vista l’età e le qualità di cui dispone, se devo fare un nome dico Francesco Menesello. Lo ammiro profondamente e ha tutte le carte in regola per giocare in una o due categorie superiori. Ha passo, gamba, intensità e intelligenza: è un giocatore che mi piace tantissimo. Se riesce a mettere ancora più personalità di quella che già dimostra, può davvero fare il salto definitivo».