CLASSE, ELEGANZA, CARISMA E INTELLIGENZA TATTICA: «DIECI DOMANDE A...» MATTEO DEINITE

Prosegue il nostro viaggio all’interno della rosa biancorossa con la rubrica «Dieci domande a…»: oggi è il turno del giocatore di maggior classe del nostro centrocampo, il monselicense doc Matteo Deinite, approdato agli ordini di Luca Simonato nell’ultima finestra invernale di mercato.
Un innesto che ha permesso alla squadra di fare un ulteriore salto di qualità per staccare la concorrenza e consolidare il primato in classifica.
Ecco quanto emerso dal botta e risposta. Buona lettura e, come sempre, forza Monselice!

1. Riassumi le tappe della tua carriera, dagli esordi fino ai giorni nostri.
«Dai cinque ai dieci anni sono cresciuto nella Rocca per poi passare al Padova e restare lì cinque stagioni. Dai quindici ai diciotto anni ho completato la trafila nel settore giovanile del Milan, da dove sono partito per iniziare le varie avventure in prima squadra. Ho giocato un anno a Trento in C/2, quattro a Pizzighettone tra C/2 e C/1, uno alla Sangiovannese in C/1, due a Portogruaro tra C/2 e C/1, uno a Legnago in serie D, sette alla Piovese tutti in Eccellenza e un anno e mezzo al CastelbaldoMasi tra Promozione ed Eccellenza, fino al mio trasferimento a Monselice dello scorso dicembre. Ho avuto l’onore di vincere cinque campionati e di giocare in Nazionale con l’Under 15, l’Under 16 e l’Under 17, disputando pure un Campionato Europeo. E con la Primavera del Milan abbiamo vinto anche un Torneo di Viareggio».
2. Cosa significa per te essere tornato a Monselice dopo così tanti anni e indossare per la prima volta la maglia biancorossa?
«Essere arrivato qui a 37 anni è stato il classico “tornare a casa” dopo tanto girovagare per l’Italia. Una tappa della mia piccola carriera calcistica che avevo previsto di dover fare e di voler fare: non sapevo quando avrei potuto realizzare la cosa, ma l’ho immaginata parecchie volte. Mi sarebbe piaciuto arrivare prima, purtroppo non combaciavano alcune situazioni. Ora, però, sono davvero felicissimo».
3. Come hai vissuto la realtà Monselice da dentro? Cosa si respira di così speciale rispetto alle altre piazze?
«Credo di poter tranquillamente affermare che la società è stabile e ben organizzata, due qualità estremamente importanti nel calcio dilettantistico. Ho trovato grande attenzione ad ogni particolare, grande competenza e tanta voglia di fare calcio in maniera seria. Di speciale c’è sicuramente il clima: questa è una piazza che ha vissuto anni importanti in categorie di prestigio. C’è voglia di rivivere determinate sensazioni, di tornare a respirare calcio di un certo livello: il nostro grande seguito lo dobbiamo sicuramente all’entusiasmo che si è creato per la scalata che il Monselice ha iniziato nel 2014 e che sta gratificando il grande lavoro svolto dalla società».
4. Hai sempre vissuto da spettatore le tappe della rinascita, venendo al Comunale ogni volta che potevi. Cosa significa essere passati, in soli sei anni, dalla Terza Categoria alla Promozione?
«Significa che hanno programmato e lavorato al massimo delle possibilità, curando ogni minimo dettaglio senza mai fare il passo più lungo della gamba e affidandosi ad altri fattori nella scelta dei giocatori e dello staff. Significa che Stefano e Nunzio, in particolare, sono riusciti a trasmettere ad ogni giocatore e ad ogni membro dello staff le giuste motivazioni per rendere al di sopra delle proprie possibilità. Se in sei anni vinci tre campionati e hai sempre giocato per provare a vincerli, significa che hai acquisito la giusta mentalità. E che sei riuscito a creare un ambiente vincente».
5. Il Monselice 2019/2020 ha dimostrato di essere una squadra fortissima e completa in ogni reparto: resta qualche rammarico per non aver concluso la stagione sul campo?
«Sicuramente la vittoria sul campo avrebbe reso ancora più merito a quanto è stato fatto: inoltre si sarebbe potuto festeggiare liberamente. Tuttavia penso anche che arrivare a otto giornate dal termine con nove punti di vantaggio sulla seconda e in semifinale di Coppa Veneto significa avere il 99% delle possibilità di salire di categoria. Diciamo che è mancata la ciliegina, ma la torta è buonissima lo stesso! Ci è stata solo tolta la gioia di concretizzare sul campo quanto ci siamo meritati. Nient’altro».
6. Cosa serve a questa squadra per ben figurare anche in Promozione?
«Se le regole degli under fossero uguali alla Prima Categoria, non servirebbe più di tanto. Invece, essendocene tre obbligatori, bisognerà paradossalmente partire proprio da loro. Sarà una rosa più giovane: più qualità ci sarà negli 8/9 giovani che si prenderanno, più ci sarà la possibilità di fare bene. Dopo il loro arrivo si potrà valutare tutto il resto, ma il gruppo di quest’anno potrebbe fare tranquillamente un buon campionato anche in Promozione. Poi, ovviamente, dipende tutto dagli obiettivi della società: questo, però, è un discorso che non mi compete! A volte, per migliorare gli obiettivi prefissati a giugno, basta veramente poco. Di certo sarà un calciomercato più lento rispetto agli anni scorsi. Bisognerà avere pazienza».
7. Rapporto con i tifosi: cosa si prova a giocare sempre davanti ad un pubblico del genere, sia in casa che in trasferta?
«La cornice è sempre stata bellissima, sia in campionato che in coppa. Una presenza così numericamente importante in ogni gara ti spinge a dare più del massimo, perché quando scendi in campo rappresenti i tifosi e i sacrifici che fanno per essere sempre presenti. Giocare in uno stadio vuoto o semi-deserto è la sensazione più brutta: se non sei in grado di crearti da solo delle motivazioni importanti, rischi di fare davvero male. A noi questo non è mai successo, perché una presenza così massiccia di pubblico ti fa entrare in partita già dal riscaldamento».
8. Qual è il compagno di squadra che ti ha maggiormente colpito?
«Ho giocato qui solo tre mesi e mi è difficile avere un quadro chiaro su tutti i compagni. Posso sicuramente dire che Bojan, con cui gioco insieme ormai da due anni, è un attaccante molto importante in queste categorie: il classico centravanti completo che vede la porta, forte fisicamente e tecnicamente. Segna con regolarità già da molte stagioni, ma ha appena 26 anni ed enormi margini di miglioramento. È un giocatore che vorrei sempre avere in squadra e che, con il passare del tempo, apprezzo sempre più».
9. Qual è stata la vittoria più bella nei mesi che hai vissuto qui?
«Ne cito due. La mia prima partita è stata quella al Comunale con il Grisignano, valida per gli ottavi di coppa. Oltre ad una vittoria netta, in notturna e con tantissimo pubblico, è stata una gara giocata davvero molto bene: iniziare così è stato di grande impatto per me. In campionato, invece, credo che l’1-0 di Bagnoli sia stato determinante per la vittoria finale: affrontavamo una squadra in forma strepitosa, che in caso di successo ci avrebbe agganciato in testa alla classifica. Averla staccata vincendo sul suo campo ci ha dato la spinta decisiva per la volata finale».
10. Riassumi in poche righe cosa significa essere un giocatore del Monselice e quanto pesa indossare una maglia così gloriosa.
«Nel mio caso significa cercare di rappresentare al massimo la città in cui sono nato e cresciuto. Significa cercare di aiutare il Monselice a tornare nelle categorie che merita nel minor tempo possibile, proseguendo ciò che altri miei amici e compagni hanno iniziato sei anni fa. La maglia deve sempre pesare il giusto: la responsabilità ci deve essere, ma non ti deve bloccare. Ho sempre pensato che nel calcio serva la giusta tensione: non bisogna farsi paralizzare, ma essere liberi di esprimersi in maniera serena».