«DIECI DOMANDE A...», SECONDA TAPPA: PAROLA A MISTER LUCA SIMONATO

Secondo appuntamento della nuova rubrica «Dieci domande a…». Oggi è il turno di mister Luca Simonato, al timone del Monselice sin dal campionato di Seconda Categoria 2015/2016. Ecco l’intervista speciale al nostro allenatore: buona lettura!

1. Scegli la vittoria più bella, quella più importante e quella più esaltante vissute sulla panchina biancorossa.
«Non potrei limitarmi ad indicare una singola gara. Ad oggi ho accumulato 169 panchine con questa società e di partite da brividi, fortunatamente, ne ho vissute tante. A caldo mi vengono in mente il 2-1 in casa al CastelbaldoMasi il primo anno di Prima Categoria, con gol decisivo di Zuin a due minuti dal termine, l’1-0 a Fossalta di Piave nella semifinale per il titolo regionale di Seconda, il primo derby di campionato con La Rocca, l’1-0 col Due Stelle che ci ha permesso di concludere una memorabile rincorsa playoff e il 3-0 a Curtarolo in una stagione dai mille rimpianti. Se però stringo il cerchio, non posso non menzionare la semifinale e la finale playoff del 2018 con Maserà e Scardovari. Mi vengono ancora i brividi se penso al gol di Baldon ai supplementari con il Maserà o agli occhi lucidi che avevo al fischio finale di Scardovari, dopo quella straordinaria e leggendaria rimonta da 0-2 a 3-2».
2. La delusione più cocente?
«Ovviamente la finalissima, sempre del 2018, con il Chiampo. Mentalmente la squadra era al top e si è presentata alla partita decisiva con un solo indisponibile, Mattia Serra. Per di più si giocava al Comunale e c’erano tutte le carte in regola per il salto di categoria. Di certo i 240 minuti giocati alla morte nelle due domeniche precedenti hanno avuto il loro peso, ma il rammarico resta enorme».
3. Il tuo più grande rimpianto da allenatore del Monselice?
«Non essere riuscito a conquistare il salto di categoria quando, pur tra mille difficoltà, ci siamo andati vicinissimi. Finale-playoff a Solesino nel 2017, stesso epilogo col Chiampo dodici mesi più tardi. Non vorrei però dimenticare la scorsa stagione, che è stata irrimediabilmente compromessa da due mesi di infortuni ai limiti dell’immaginabile: sono certo che saremmo riusciti a centrare i playoff per il terzo anno di fila. In sintesi, al netto della stagione attuale, una squadra che in 90 partite di campionato ha perso solo 17 volte doveva già essersi guadagnata l’approdo in Promozione».
4. Qual è stato il giocatore più talentuoso ed emozionante che hai allenato?
«A Monselice ho avuto più di 110 ragazzi. Di bravi e talentuosi ne sono passati veramente tanti, ma se devo fare un nome scelgo Carloalberto Gasparello, che è anche un grande amico. Dopo vent’anni di basket, ritagliarsi un ruolo da protagonista pure nel calcio non è cosa per chiunque. Parliamo di un ragazzo con qualità umane, atletiche e tecniche al di sopra della media: se avesse continuato per un altro anno, sono certo che sarebbe riuscito ad essere protagonista anche in Prima Categoria».
5. La squadra più forte che hai affrontato da tecnico?
«Rispondo affidandomi alle sensazioni vissute dal campo. In 169 partite, l’unica volta che ho percepito di essere al cospetto di un avversario nettamente superiore è stato nella sfida di coppa di quest’anno con il Rovigo. Una compagine quadrata, di spessore e di qualità: sensazioni confermate pure due mesi dopo, quando li abbiamo ritrovati in campionato».
6. A che partita risale la cornice di pubblico più straordinaria?
«Prendo in prestito le parole di un allenatore biancorosso leggendario come Mauro Gatti, che in uno dei nostri ultimi incontri ha spiegato bene un concetto: il DNA del tifoso del Monselice va al di là della categoria in cui milita la squadra. Il tifoso vuole il Monselice nella parte alta della classifica, ed è lì che il pubblico infiamma il Comunale. Quando la posta in palio era alta, la cornice delle grandi occasioni non è mai mancata: penso al muro biancorosso nella finale-playoff di Solesino, alla coreografia d’altri tempi nei derby con La Rocca, ai fumogeni e all’atmosfera pazzesca nella finalissima regionale di Seconda Categoria con il San Vito Cà Trenta, al tifo incessante nei 120 infiniti minuti con il Maserà, all’interminabile abbraccio con la curva dopo l’impresa di Scardovari. E potrei continuare…».
7. Qual è stato l’errore più grande che ritieni di aver commesso da allenatore?
«Di errori ne ho fatti sicuramente molti, e molti ancora ne farò. Non è retorica o una frase di circostanza, ma solo la condizione necessaria con cui vivere quotidianamente questo ruolo. Si possono scegliere vari criteri con cui affrontarlo, per poi capire come superarli senza perdere tempo inutile a rimuginarci sopra. I miei valori principali sono il rispetto della persona e la consapevolezza che la squadra viene prima del singolo».
8. Stagione 2019/2020: la vittoria più bella ed il momento più emozionante.
«Senza dubbio il big-match di coppa con il Rovigo. La vittoria ai rigori, con l’ultimo rigore parato da mio fratello, è sicuramente l’immagine più emozionante dell’annata».
9. Stagione 2019/2020: come andrà a finire?
«Credo che le possibilità di concludere il campionato sul campo siano veramente poche, fermo restando che la speranza è sempre l’ultima a morire. Se non dovessimo farcela, e la cosa mi lascerebbe un vuoto difficile da riempire, mi auguro che gli enti preposti e la Federazione riescano a trovare la miglior formula possibile per interpretare quanto accaduto per oltre il 75% della stagione. Io resto del parere che ho già espresso in varie occasioni: epilogo premiante per tutti e meno penalizzante possibile. Nessuna retrocessione e un maggior numero di promozioni, almeno fino alla terza in classifica, con un conseguente maggior numero di gironi il prossimo anno o, in alternativa, un maggior numero di squadre per girone. Di fronte ad un’eventuale necessità di ristabilire in un secondo momento gli attuali organici, si potrebbe pensare di aumentare il numero delle retrocessioni nel campionato 2020/2021».
10. Riassumi in tre righe cosa significa essere l’allenatore di una squadra con una piazza e un pubblico come Monselice.
«È un onore e un grandissimo privilegio. Il mio ruolo, per forza di cose, non potrà essere “per sempre”: per questo motivo sono consapevole che un giorno, più o meno lontano, essere stato l’allenatore del Monselice sarà qualcosa di indimenticabile».