UMILTÀ, PERSONALITÀ, CARISMA E ATTACCAMENTO ALLA MAGLIA: «DIECI DOMANDE A...» JACOPO VOLTOLINA

La nuova puntata della rubrica «Dieci domande a…» è dedicata a Jacopo Voltolina, titolare della fascia di capitano per l’intero periodo di assenza di Stefano Loverro.
Approdato a Monselice da centrocampista nella finestra invernale di mercato 2015/2016 (Seconda Categoria), «Volto» si è poi reinventato difensore centrale grazie ad una felice intuizione di mister Luca Simonato.
Colonna insostituibile del reparto arretrato biancorosso, è sicuramente uno dei punti fermi del Monselice del futuro.
Buona lettura!

1. Cosa ricordi del tuo esordio ufficiale con la maglia biancorossa?
«Era il 10 gennaio del 2016, Monselice-Anguillara 0-0. Ricordo bene la felicità nel sentire il mio nome tra gli undici titolari, nonostante fossi arrivato solo da qualche settimana. Non dimenticherò mai l’emozione di scendere in campo al Comunale e sentire tutta quella gente cantare incessantemente per novanta minuti. Per me era tutto nuovo, non avevo mai vissuto niente di simile».
2. Cosa significa essere diventato il capitano di questa squadra, alla tua età e in una piazza così gloriosa?
«È una delle cose di cui vado più orgoglioso, un riconoscimento per nulla scontato per un ragazzo così giovane. All’inizio non è stato semplice, anche perché avere in campo persone più vecchie e con maggiore esperienza mi creava un po’ di ansia. Poi ho capito che non dovevo pensare troppo, ma semplicemente essere me stesso. Negli anni ho sempre ammirato i “vecchi” dello spogliatoio e ad ognuno di loro ho cercato di rubare qualche insegnamento facendolo mio. Questa cosa mi ha arricchito tanto, sia come giocatore che come persona».
3. Scegli la vittoria più bella e quella più esaltante.
«La più bella è il 4-0 nel derby con La Rocca al primo anno di Prima Categoria mentre la più esaltante è senza dubbio lo spareggio-playoff di Scardovari del 2018, vinto per 3-2 ai tempi supplementari dopo essere andati al riposo sotto di due reti. È stata la partita più straordinaria della mia carriera: non dimenticherò mai i boati dei tifosi ai gol di Codi, Fede e Mene e la grandissima festa a fine gara, condivisa in campo con tutte quelle persone che avevano fatto un sacco di strada per seguirci e sostenerci».
4. Qual è la cornice di pubblico che ti è più rimasta nel cuore?
«Ce ne sarebbero tantissime, dal 4-0 alla Rocca in pieno inverno alla finale-playoff persa a Solesino davanti ad una tribuna stracolma di nostri tifosi. Tuttavia quella che mi è rimasta più impressa è la finalissima per il titolo regionale di Seconda Categoria con il San Vito Cà Trenta, nel 2016: a Camposampiero c’era una vera marea biancorossa, e il fatto di giocare di sera rendeva tutto ancora più affascinante».
5. La delusione più cocente e il rimpianto più grande della tua avventura biancorossa.
«Sicuramente la finale-playoff del 2018 con il Chiampo. Si giocava in casa e dopo le due memorabili imprese con Maserà e Scardovari sentivo davvero vicina e concreta la possibilità di salire in Promozione. Il rimpianto più grande è non aver ancora vinto nulla a Monselice: ci sono andato vicino perdendo la finale per il titolo regionale di Seconda Categoria e le due finali-playoff di Prima, e lo stesso campionato di Seconda lo sento mio solo al 50%. Ero arrivato a metà stagione, con la squadra che già comandava la classifica con ampio margine, e credo che il merito sia tutto dei ragazzi che avevano “tirato la carretta” fin da agosto. Io mi sono solo inserito in corsa».
6. Qual è il compagno di squadra che ti ha più emozionato?
«Sceglierne uno è dura, perché sono molto legato a tutti coloro con cui ho condiviso lo spogliatoio. Indipendentemente da quanto sono rimasti a Monselice, hanno fatto parte di quella che per dieci mesi è la mia seconda famiglia. Con alcuni, poi, è nato pure un rapporto di amicizia veramente importante. Se però devo fare un nome dico Luca Bagno, con cui avevo già condiviso una stagione prima di arrivare qui. Quando l’ho ritrovato a Monselice, è stato il primo che ho incontrato quando ho varcato la porta dello spogliatoio. È una persona strepitosa, a cui sono inevitabilmente molto legato, e alcuni suoi discorsi pre-partita resteranno per sempre indelebili nella mia mente e nel mio cuore».
7. Qual è la squadra avversaria più forte incontrata in questi anni? E quali sono i giocatori che ti hanno più impressionato?
«Di giocatori forti ce ne sono stati tanti e alcuni, come Nicolò Galato, sono poi fortunatamente diventati miei compagni. Come squadra direi il Rovigo di quest’anno, che nella gara di coppa mi ha davvero colpito: in alcuni frangenti ho avuto la sensazione che fossero più forti di noi, ma siamo stati bravissimi a resistere e a conquistare la qualificazione ai calci di rigore».
8. Stagione 2019/2020: scegli il momento più bello.
«Di sicuro la vittoria ai rigori contro il Rovigo, ma per me è stata ancora più esaltante quella in campionato con la Fiessese. Un 2-1 in rimonta arrivato in pieno recupero, grazie al pareggio di Zuin e al meraviglioso gol di De Leo».
9. Stagione 2019/2020: come andrà a finire e qual è il tuo pensiero?
«Fosse per me, porterei a termine il campionato anche a costo di giocare in estate e di iniziare subito dopo la preparazione per il 2020/2021. Purtroppo, però, temo sarà impossibile: con le restrizioni dovute all’emergenza sanitaria i tempi sarebbero strettissimi, se non addirittura nulli. Credo che la soluzione più logica sia quella condivisa dalla maggior parte degli addetti ai lavori: promuovere la squadra che si trovava in prima posizione al momento della sospensione, o eventualmente le prime due, e azzerare le retrocessioni. Si andrebbero così a creare dei gironi in sovrannumero per la stagione 2020/2021, stabilendo un maggior numero di retrocessioni se dovesse essere necessario tornare al format attuale».
10. Riassumi in poche righe cosa significa essere un giocatore del Monselice e cosa si prova davanti ad una tifoseria del genere.
«Non è una cosa che si può definire “normale”. Solo provandolo sulla tua pelle puoi capire la fortuna di giocare in una piazza così speciale. Hai delle responsabilità diverse, perché giochi per una società che ha militato nei professionisti e per un pubblico più esigente, abituato ad altre categorie. Quando indossi la maglia del Monselice, smetti di giocare per te stesso: inizi a sudare e a lottare per tutte quelle persone che ti seguono ovunque, a prescindere dai chilometri. Sono proprio le persone che vedi cantare senza sosta per novanta minuti a darti la carica quando non hai più fiato o quando sei in svantaggio e cerchi in tutti i modi di recuperare. Essere un giocatore del Monselice significa essere un professionista nei dilettanti, con tutti gli oneri e gli onori del caso».