TALENTO, SPIRITO DI SQUADRA E UN PIEDE SINISTRO TELECOMANDATO: «DIECI DOMANDE A...» FRANCESCO MENESELLO

La nuova puntata della rubrica «Dieci domande a…» è dedicata a Francesco Menesello, classe 1998, che a dispetto della giovane età è da tempo una delle colonne del centrocampo del Monselice.
Per il forte giocatore biancorosso si tratta della terza stagione agli ordini di mister Luca Simonato: vi proponiamo qui sotto quanto emerso nell’interessante, e appassionato, botta e risposta con «Mene».
Buona lettura e, come sempre, forza Monselice!


1. Cosa ricordi dei tuoi primi passi nel mondo-Monselice? Primi contatti, esordio assoluto, sensazioni iniziali…
«Quando Stefano Loverro mi chiamò per chiedermi di venire qui, quasi non ci credevo. Ero davvero felice e sorpreso. Avevo sempre sentito parlare del Monselice: da bambino seguivo la squadra negli anni dell’Eccellenza sia in casa che, alcune volte, in trasferta. Tuttavia vivere questa realtà in prima persona è qualcosa di unico. Il mio esordio risale ad un derby di coppa con La Rocca perso malamente per 3-0, mentre in campionato il debutto è slittato alla quinta giornata per i quattro turni di squalifica che avevo rimediato nell’ultima partita della stagione precedente. Devo ammettere che nelle prime gare ero sempre abbastanza teso, perché erano i miei primi passi in una società così gloriosa e ricca di storia. Per di più, sempre davanti ad una cornice di pubblico spettacolare e numerosa».
2. Scegli la vittoria più bella e la delusione più cocente in maglia biancorossa.
«Di vittorie più belle ne dico tre: l’impresa di Scardovari ai playoff del 2018, il derby di andata di quest’anno vinto per 2-1 e il passaggio del turno in coppa contro il Rovigo, ottenuto ai rigori e in uno stadio stupendo e da categoria superiore. La delusione più cocente è sicuramente la finale-playoff di due anni fa con il Chiampo: a fine gara ero veramente triste e mi dispiaceva da morire per tutta la gente che era accorsa al Comunale per sostenerci. Dopo le imprese delle domeniche precedenti con Maserà e Scardovari, forse siamo arrivati un po’ scarichi e non siamo riusciti a compiere l’ennesimo miracolo».
3. Qual è il tuo più grande rimpianto in questa avventura?
«Direi i mesi della scorsa stagione in cui ci è girato tutto contro: infortuni, squalifiche, sfortuna, arbitri. Sono sicuro che avremmo potuto fare molto meglio e che l’obiettivo-playoff era ampiamente alla nostra portata».
4. Scardovari-Monselice 2018, semifinale-playoff: che ricordi hai di quella giornata memorabile?
«La partita più bella della mia vita. Ci fu un’autentica invasione monselicense: ovunque ti giravi vedevi gente da Monselice, la squadra di casa eravamo noi. Il mio gol lo ricordo come fosse ieri, attimo per attimo. Appena ho visto la palla entrare, non ho capito più nulla: ho sentito un boato pazzesco e mi sono fatto tutto il campo di corsa per andare ad esultare sotto la nostra curva. Ero al settimo cielo, da 0-2 a 3-2 in casa della corazzata Scardovari. Ricordo che prima dei tempi supplementari ero stremato, però volevo restare in campo ad ogni costo: e alla fine, fatalità, ho pure segnato il gol della vittoria».
5. Monselice-Chiampo, finalissima-playoff 2018: la vigilia, la gara e le lacrime al fischio finale.
«Ci credevo davvero tanto. Meritavamo la promozione dopo le imprese con Maserà e Scardovari e dopo tutto il lavoro e i sacrifici di un anno così tirato. Il Comunale era una bolgia, tutto pieno in ogni angolo. Durante il riscaldamento sentivo molto la partita, ma quando entri in campo ti scivola tutto addosso e pensi solo a giocare. Al fischio finale ero distrutto, c’erano facce molto tristi: il sogno si era infranto ad un passo dal traguardo. Mi dispiaceva tantissimo per la squadra, ma soprattutto per la nostra gente e per gli ultras, che ci applaudirono e cantarono ininterrottamente fino alla fine».
6. Qual è stato il compagno di squadra che ti ha regalato più emozioni? E quali sono stati gli avversari più forti che hai affrontato?
«Un compagno che mi resterà sempre impresso, e che ho ammirato tantissimo, è Marco Sadocco. Era un professionista, sempre perfetto ed elegante, veramente fortissimo. Mi ha aiutato tanto a crescere: mi dava molti consigli e a volte me ne diceva pure di tutti i colori, ma so che lo faceva solo per aiutarmi e per spingermi a dare tutto. Tra gli avversari più forti, cito due giovani affrontati quest’anno: Zamberlan e Dall’Ara del Rovigo, entrambi davvero bravi».
7. Qual è la cornice di pubblico più straordinaria che ricordi?
«Sicuramente quella di Scardovari ai playoff del 2018. Non avrei mai pensato che tutta quella gente potesse venire fino a lì pur di tifare e di spingerci all’impresa. Se siamo riusciti a compiere quel miracolo, è anche grazie ad un tifo da leggenda».
8. Stagione 2019/2020: il momento più esaltante e la gioia personale più grande.
«I momenti più belli sono stati due: la vittoria ai rigori contro il Rovigo e il 3-2 a Solesino alla prima giornata di campionato, in un derby davvero sentitissimo. Con il Rovigo è stata forse l’unica volta in cui mi sono sentito inferiore all’avversario: abbiamo giocato con il cuore e alla fine, con le unghie e con i denti, siamo riusciti a spuntarla. Con la Solesinese abbiamo fatto un’ottima prestazione, meritando ampiamente la vittoria e sfatando un tabù che durava da anni. Come gioia personale, oltre alle due doppiette proprio alla Solesinese, scelgo senza dubbio il gol nel derby. Segnare alla Rocca era un mio sogno: lo volevo a tutti i costi e finalmente sono riuscito a realizzarlo».
9. Stagione 2019/2020: come andrà a finire e qual è il tuo pensiero?
«Credo che purtroppo sia tutto finito. Sono convinto che avremmo vinto il campionato e sarebbe stato bellissimo festeggiare per Monselice: sarebbe pure stato il mio primo campionato vinto, ma in questo momento la salute viene prima di qualsiasi altra cosa. Sono comunque del parere che abbiamo molte possibilità di salire in Promozione: ce lo siamo strameritati, perché da agosto a febbraio abbiamo dominato. Ed eravamo pure in semifinale di coppa».
10. Riassumi in pochi concetti cosa significa essere un giocatore del Monselice e cosa si prova ogni domenica davanti ad una tifoseria del genere.
«Giocare a Monselice è un onore e indossare questa maglia è una sensazione incredibile per chiunque ne ha la fortuna e l’opportunità. Questa società ha una storia gloriosa, fatta di categorie importanti. Qui ti senti un professionista anche se non lo sei. Uno stadio magnifico, una tifoseria senza eguali, un club serio e accorto: non ti senti un semplice giocatore, ma molto di più. Un atleta che ama il calcio, almeno una volta nella vita deve passare per Monselice: finirà per amare questo sport ancora di più».