INTERVISTA A TUTTO TONDO CON STEFANO LOVERRO: «IL CALCIO, PER ME, È LA COSA PIÙ IMPORTANTE DELLE COSE MENO IMPORTANTI. UN CAPITANO DEVE VOLERE IL BENE DELLA SQUADRA, ANCHE SE A VOLTE NON COINCIDE CON QUELLO PERSONALE»

Ultimamente siamo abituati a parlare di lui più in veste di dirigente. Ma c’è anche uno Stefano Loverro giocatore, che ha appena mandato in archivio la sua tredicesima stagione nelle file del Monselice.
La maglia biancorossa è ormai tatuata sulla pelle del capitano, artefice numero uno della rinascita del club nel 2014 e unico calciatore ad aver difeso con orgoglio questi colori in tutte le categorie, dalla serie D alla Terza.
«Nel corso degli anni le mie priorità sono inevitabilmente cambiate, dando più importanza a farmi trovare pronto a prescindere dal numero della maglia – afferma Stefano, classe 1980 – Sono sempre stato duttile, potendo ricoprire egregiamente più ruoli in difesa, e questo per qualsiasi allenatore non può che essere un aiuto».
Di certo il Loverro visto ad inizio stagione era tirato a lucido fisicamente, impiegato non solo centrale in difesa ma rispolverato da mister Simonato come terzino di spinta e con ottimi risultati: un rigore procurato nel derby di coppa con La Rocca al novantesimo, andando a colpire di testa su calcio d’angolo, assist dal fondo a Solesino e Fossó per i gol di Rossato e Minelle e una traversa su legnata da fuori area contro la Grego Padova.
«Sputo sempre sangue per dare il miglior contributo possibile. Personalmente mi sento ancora un calciatore, perché è la passione a darmi questa percezione. In situazioni simili, dico sempre che sono tre le componenti in grado di dare il giusto “termometro”: continuare ad avere la voglia di allenarsi duramente, un fisico che tiene botta e fare bella figura in campo alla domenica. Se tutto ciò si incastra, allora si può andare avanti. Dell’intera mia carriera, il 2018 è stato l’anno in cui sono stato disponibile maggiormente, saltando solo quattro partite per infortunio da Gennaio a Dicembre. Per il resto ho sempre giocato, a parte due incontri in cui sono rimasto in panchina per scelta tecnica. Sono veramente contento ed è ovvio che per riuscire in questo bisogna curare i dettagli, stando attenti allo stile di vita e a cosa mangiare e bere. Poi è naturale che giocando tante partite consecutivamente devo essere gestito, per evitare flessioni e cali di rendimento: bisogna essere intelligenti e umili nel capire che l’età si fa inevitabilmente sentire e che i tempi di recupero si allungano. Quando sono in campo, so che devo dare per primo l’esempio, dimostrando ogni domenica che merito di indossare la fascia e di giocare, se Luca mi mette in campo. Il mister si trova a fare delle scelte, lui giustamente non guarda in faccia nessuno e pensa solo al bene del Monselice: e il discorso vale anche per il sottoscritto. Sono uno che pretende tanto dai compagni e che odia chi tira indietro in allenamento: per farlo, però, devo essere sempre il primo a sputare sangue, anche nella parte atletica».
Quella appena archiviata, è stata pure per Stefano una stagione dai due volti.
«Dopo l’infortunio di dicembre nel derby con La Rocca (distorsione alla caviglia) è iniziato un calvario. Alla prima di ritorno con la Curtarolese eravamo contati e ho dovuto affrettare i tempi per tornare in campo e dare una mano: in realtà ho solo peggiorato la situazione, perché una brutta contusione mi ha fatto tornare indietro. Stessa cosa con la Villafranchese alcune settimane dopo: anche lì eravamo ridotti all’osso e ho tentato un recupero-lampo, che inevitabilmente mi è costato una ricaduta con grossi problemi al ginocchio, al punto che a fine campionato ho dovuto sottopormi ad un intervento di PRP. Il mio più grande limite è che ho subito tre operazioni alle ginocchia: fisicamente sto bene, purtroppo è la cartilagine a farmi penare. Malgrado tutto sono comunque riuscito a tenermi allenato, facendo al massimo la parte atletica e limitandomi a toccare il pallone solo con il piede sinistro. Questo mi ha permesso di togliermi la soddisfazione di entrare in campo nel derby di ritorno, per difendere il vantaggio negli ultimi sei minuti: un motivo di vanto e di orgoglio, di fatto con una gamba sola. Non mi sono mai tirato indietro, facendo anche sacrifici economici ogni settimana per gestirmi e curarmi: fisioterapie, massaggi e trattamenti vari. Il calcio, per me, è “la cosa più importante delle cose meno importanti”: una frase che ho sentito dire e che mi piace molto. Non ho mai avuto velleità o pretese di giocare titolare e i compagni me l’hanno sempre riconosciuto: un capitano deve volere il bene della squadra, anche se a volte non coincide con quello personale. Quando sono fuori, sono il primo ad incitare i ragazzi già nel riscaldamento: se poi il mister mi mette dentro anche solo per tre minuti, cerco di mettere la mia esperienza a servizio della squadra, dando l’anima per uscire con le bave alla bocca. Ora penso a sfruttare bene la pausa estiva per presentarmi al cento per cento all’ inizio della preparazione».